giovedì 25 ottobre 2012

Il progetto nel bicchiere

Il bicchiere, si sa, è nato per bere, e normalmente per bere è progettato, ma ci sono dei casi in cui la funzione del bere passa in secondo piano; il progetto si concentra su esigenze secondarie, che divengon primarie, e il bicchiere muta.
"Quando il bicchiere non è fatto per bere", con bere inteso come concept primario, è dunque il filo conduttore della nostra collezione.

Partiamo da un oggetto di design pop e cult della storia italiana: il bicchiere di Nutella. Il bicchiere di Nutella si distingue per forme e grafiche da qualsiasi altro bicchiere nell'armadio dedicato nelle nostre cucine: 7cm di diametro superiore, 9 di altezza, 5,8 di base inferiore sono le sue quote essenziali. Ma il bicchiere di Nutella, pare ovvio dirlo, non è un omaggio che la Ferrero fa agli acquirenti della sua amata crema di nocciole, ma il suo stesso packaging. Una scelta di marketing fenomenale, sostituisce il vecchio barattolo con chiusura a vite, utile si in cucina ma in quantità moderate... Il bicchiere è un oggetto di tutti i giorni, di tutti i pasti anzi, essenziale a tavola e probabilmente, fra gli "strumenti" del mangiare, il più antico. La scelta di trasformare un packaging, un vasetto, in bicchiere non dovrebbe aver complicato troppo la vita alla Ferrero: la garanzia d'integrità del pack è data da un film termoretraibile, che testimonia, se integro, che il tappo e il sottostante coperchietto in carta non hanno subito manomissioni (l'unica aggiunta rispetto al barattolo con tappo a vite è il film).
Semplice il pack, semplice il suo riutilizzo. Dal 1964 milioni di italiani si dissetano grazie ai packaging intelligenti di Nutella.


Vasetto di Nutella, edizione per il 150° anniversario dell'unità d'Italia 2011

Il secondo oggetto della nostra collezione è un curioso progetto di Joe Colombo, che segna la stessa età anagrafica del bicchiere di Nutella, ma una storia sicuramente meno conosciuta. Stiamo parlando di Smoke, progetto appunto del 1964 dal geniale designer milanese per un bicchiere da fumatore. L'esigenza di Smoke? tenere una sigaretta fra le dita della mano che regge il bicchiere, forse perché un po' di cognac affianco ad un bel sigaro fa sempre la sua figura... (Personalmente, preferisco evitare entrambi).
La forma del bicchiere si piega dunque all'impugnatura di una mano che regge una sigaretta, il pollice avvinghia il bicchiere, le altre dita giocano allegre con la sigaretta, due vizi in una mano sola!

Joe Colombo, Smoke drawing, conservato presso lo studio di Joe Colombo, Milano

Come ogni oggetto votato a contenere, ossia come ogni contenitore, il bicchiere possiede un grande difetto: se inutilizzato non cambia la sua forma, continua ad occupare inutilmente un volume composto perlopiù da aria, ingombra, insomma.
Finché si sta in casa tutto ok, negli armadi pian piano si riempiono di polvere e qualcosa così contengono, ma quando si tratta di viaggiare lo spazio diventa un problema.
Il bicchiere telescopico in plastica(ccia) è un prodotto del design anonimo votato al trasporto facile e veloce, veloce e facile come il suo impiego. Nessuna fantasia possibile sulle forme: telescopico vuol dire conico, la forma dipende solo dall'esigenza di trasporto.
Ne esistono versioni più recenti in acciaio Inox, ma, anche un po' per affetto, vi proponiamo quello in plastica(ccia).

Bicchiere telescopico

È un oggetto che abbiamo già citato nel blog, ma di fatto è importante poiché, pur non essendo celebre, è molto significativo secondo me per capire lo spirit Arts and Crafts, è il Calice Tiffany di Tiffany, designer vetrario delle Arts and Crafts.
Perché questo calice perlato non ha come funzione primaria il bere? Perché è un portatore di un messaggio, di una denuncia e di un sogno, la denuncia della pessima qualità dell'oggetto industriale moderno (moderno inteso come aggettivo relativo all'epoca) e il sogno di una società ispirata alla purezza di quella medievale, presa in contrapposizione alla società priva di valori del diciannovesimo secolo.
Il bicchiere è dunque messaggero dell'ideale Arts and Crafts, come si evince dalle forme arcaiche e dal colore perlato




La "Coppa dell'amicizia", forse nota solo qui in Piemonte e nella vicina Val d'Aosta e nelle limitrofe regioni francesi, è di fatto un bicchiere, ma unico nel suo genere. È nato per la convivialità, un bicchiere dai tanti beccucci per bevute in compagnia, ma con uno spirito assolutamente fraterno, poiché tutti i commensali bevono dalla stessa coppa. Non ha le forme tipiche di un bicchiere, ma di fatto lo è poiché veicolo fra la bevanda e la bocca. In genere è un pregevole oggetto da artigiani del legno, mentre il suo contenuto, il "caffè alla valdostana, è un miscuglio per stomaci forti: 4 tazzine di caffè, 4 di grappa bianca, 4 di punch all'arancia, 4 cucchiai di zucchero, 4 chiodi di garofano, un bicchiere di Genepy e una buccia d'arancia.
Per chi lo vive al di fuori della tradizione, la "Coppa dell'amicizia" potrebbe dunque sembrare una tortura, ma per chi lo vive nello spirito della tradizione, altro non è che un bellissimo oggetto, appunto, per l'amicizia.

Coppa dell'amicizia

Esiste anche un bicchiere, spesso alquanto scomodo, fatto solo per essere buttato, è il bicchiere di carta. Nasce con il consumismo, un po' per pigrizia, un po' per comodità. La pigrizia è quella dei genitori che organizzano le feste di compleanno dei figlioli e, onde evitare di dover lavare i piatti e i bicchieri, li comprano di carta e dopo la festa via, tutto nella discarica. Se vogliamo essere più magnanimi, possiamo ipotizzare che sia anche per evitare la rottura dei pezzi in vetro da parte dei bambini, ma il loro largo utilizzo anche in feste di capodanno fra adulti scoraggia tale ipotesi. La comodità è invece quella di consumare la bevanda senza dover restituire il bicchiere al locale, un bicchiere fast life per uomini dalla fast live che pranzano al fast food. Per esperienza personale, quando la bibita supera i 33cl i bicchieri diventano la scomodità fatta a bicchiere: la pressione del liquido, quando viene inclinato per portarlo alle labbra, ne provoca una terribile deformazione che rischia di ripercuotersi sui pantaloni dell'utente. Unica soluzione è domandare il coperchietto con il foro per la cannuccia, ma, non essendo progettato per bere ma per essere buttato dopo l'uso, il cassiere dell'Autogrill non ci farà caso e te lo consegnerà senza coperchio, lasciando i pantaloni nel costante pericolo dell'effetto Vajont.

Bicchiere "Pepsi"

C'è un posto, non proprio sulla Terra, dove l'uomo non può utilizzare il classico bicchiere a gravità per bere, bicchiere a gravità poiché ciò che permette all'acqua di non evadere dal suo contenitore è la gravità che la attrae sul suo fondo. Il luogo in questione è la Stazione Spaziale Internazionale, dove astronauti statunitensi, canadesi, russi, europei e giapponesi  si alternano per la ricerca scientifica e tecnologica. Il bere, senza gravità, è un bel problema: l'acqua non trova più nel bicchiere classico un mezzo di contenzione... La soluzione dopotutto non è così difficile, un contenitore che la contenga a 360° è sufficiente a risolvere il problema.
I "bicchieri sacchetto" della stazione spaziali sono dunque pensati per evitare la dispersione del liquido nell'ambiente e per rimpiazzare la forza di gravità, dopodiché la cannuccia che vi fuoriesce è il mezzo del bere.



mercoledì 17 ottobre 2012

Il bicchiere più famoso

È un oggetto del desiderio dei grandi poteri sin dall'undicesimo secolo, quando la prima crociata partì per la liberazione della Terra Santa, è il sacro graal, tanto amato dagli appassionati di Voyager.
La liberazione di Gerusalemme comportò la creazione dell'ordine dei Templari, ossia del cavalieri del tempio della città santa alle tre grandi religioni, nato per difendere le terre conquistate. Non ci soffermeremo a raccontare la storia dell'ordine, ma ci limiteremo a dire che in breve tempo acquisì ricchezza monetaria e potenza militare, tanto da attirare l'interesse del monarca francese Filippo IV il bello, il quale, dopo la loro ritirata dalla Terra Santa, dovettero spostare il loro centro d'azione in Europa. Filippo accusò dunque i templari delle cose più infamanti per la società dell'epoca, sodomia, idolatria, eresia, tutte violazioni della morale cattolica, insomma, al fine di trovare una ragione "dall'alto" per l'abolizione dell'ordine.
Sebbene il papa Clemente V non fosse troppo convinto delle accuse, ordinò la soppressione dell'ordine e l'arresto dei templari a seguito delle confessioni, ottenute sotto tortura dai questori francesi.
I pochi superstiti dell'ordine si rifugiarono laddove la parola del papa non sortiva effetto, ossia nella Scozia, regno scomunicato poiché, durante le guerre di indipendenza contro l'Inghilterra, il suo re Roberto I si rese colpevole di un omicidio in chiesa.
Ebbene, finalmente ci siamo, nella cappella di Rosslyn, in Scozia, la leggenda narra che sia sepolto il sacro Graal, entrato in possesso dei templari dopo la conquista della Terra santa, ma questa leggenda non è altro che un lungo pretesto per introdurre al bicchiere più famoso di sempre.
La prima apparizione come oggetto di culto è nell'incompiuto Perceval di Chrétien de Troyes, "Cristiano di Troyes", non un caso il suo nome. Perceval è "il figlio della vedova", vedova che, oltre il marito, ha perduto tutti i figli fuorché il protagonista della vicende fra "l'arme e i cavalier", tanto da impedire al figlio di cimentarsi nelle arti cavallerizze. Ma il destino di Perceval non può che compiersi a cavallo, e a cavallo abbandona la madre per andare alla volta del castello di Re Artù (e qui ne approfittiamo per segnalare una curiosità: una delle prime raffigurazione del re leggendario si trova nella cattedrale di Otranto datato 1165). Il re di Camelot, comprese le sue virtù, lo nominò cavaliere e signore di Gornemant, ma l'apprensione del giovane per la madre, lasciata svenuta oltre un metaforico ponte alla sua partenza, lo convinse a ritornare sulla via di casa. Raggiunta la terra natia, non trova la madre, morta di crepacuore, dando dunque il via a nuove avventure degne d'un vero cavaliere errante, ed errando Perceval giunge al castello del Re Pescatore, dove il nostro sacro graal fa la sua bella presenza. Il Re Pescatore, il cui nome fa intuire riferimenti evangelici, ha una ferita, magicamente legata alle sorti del suo regno: finché non si rimarginerà, povertà e carestia non lasceranno le sue terre. Alla sua corte Perceval assiste ad una processione, in mezzo alla quale non può fare a meno di notare una lancia sanguinante, e badate bene, sanguinante e non insanguinata, un calice ed un piatto emettente luce. Tutti e tre sono ovviamente simboli della passione di Cristo, ma Perceval non lo sa e per educazione non da spazio alla sua curiosità, non ponendo dunque domande al Re ferito. La sorte vuole che solo il porre la domanda trattenuta avrebbe liberato il re ed il regno dai loro malanni. Il sapore di leggenda accresce il giorno dopo la processione, quando Perceval risvegliandosi trova il castello completamente abbandonato e decadente, decidendo dunque di riprendere le sue peregrinazioni. Ma cosa lega Perceval al sacro graal? Chrétien ce lo accenna, ma non lo rivela; il romanzo è rimasto incompiuto e termina nel momento in cui Perceval, errando, incontra il fratello del Re Pescatore il quale, confessandolo gli rivela la sua, di Perceval, appartenenza alla famiglia del Graal. Il romanzo finisce qui, l'unica cosa certa è che il Re Pescatore era suo zio, come in un'antica telenovela che non avrà mai la sua fine certa.

lunedì 15 ottobre 2012

Il bicchiere fiammingo

Nello sfogliare il Dossier dedicato al fiammingo Vermeer di ARTEDOSSIER di questo mese, ho potuto riscontrare un curioso amore per il bicchiere da parte del pittore nordico.
Il bicchiere parrebbe al turista che lo scorge a malapena dall'impasto di colori ad olio un semplice oggetto della scena, un vezzo della passione tutta fiamminga per nature morte e riflessi vitrei, ma non è così.
Partiamo da "Giovane donna assopita" del 1657, ora conservato al Metropolitan Museum of New York: una giovane donna dalla veste elegante è il soggetto del quadro, ella si è assoluta sesta ad un tavolo, ricoperto da un bel tappeto sui cui giace un'immancabile natura morta con frutta di stagione (autunno, per essere precisi), una brocca e un bicchiere di vino, mezzo bevuto o mezzo riempito?

Jan Vermeer, "Giovane donna assopita", 1657, Metropolitan Museum of New York

 Il soggetto della serva pigra è ricorrente nell'Olanda puritana, ma nel dipinto di Vermeer le vesti pregiate della ragazza e gli orecchini di perla, tanto amati dal fiammingo, suscitano il dubbio ch'ella possa non esser una serva, lasciando dunque ambiguità sul soggetto dell'opera: è il bicchiere la causa del sonno della giovane? Solo il bicchiere sa la risposta.
Ma il bicchiere è anche seduzione, come nella "donna con bicchiere di vino", dove dinnanzi alla solita finestra una fanciulla sorride furbetta all'osservatore, mentre con la mano destra riceve un bicchier di vino da un suo spasimante. Il bicchiere è il ponte fra la giovane e il corteggiatore, che con il suo sguardo ammiccante sembra voler esprimere soddisfazione per le avances andate a buon fine. Sorte inversa invece per il giovane nell'angolo della stanza, presumibilmente abbattuto da un rifiuto.

Jan Vermeer, "Donna con bicchiere di vino", 1659, Herzog Anton Ulrich Museum


Con un bicchiere di vino sembra invece isolarsi dal suo interlocutore la ragazza soggetto de "il bicchiere di vino"; il ritirarsi nell'atto del bere isola la ragazza in maniera simile alla "ragazza col bicchiere in mano", presente ne "la colazione dei canottieri" di Renoir, ragazza, opera e pittore tanto citati ne "il favoloso mondo di Amelie".

Vermeer

Renoir

I bicchieri abbondano anche ne "la mezzana", sempre di Vermeer. Una giovane prostituta dall'immancabile veste gialla viene distratta dal suo grande bicchiere di vino da un avventore, il quale poggia la mano sinistra sul suo seno, mentre con la destra porge alla ragazza una moneta: l'interesse passa dunque dal bicchiere "isolante" alla moneta accondiscente, presumibilmente siglando l'accettazione del cliente.
Il bicchiere nella mano del personaggio sulla sinistra, probabile autoritratto dell'artista, sembra invece essere il motivo del suo allegro sorriso.

venerdì 12 ottobre 2012

Passa il bicchiere, dammi da bere per carità!

Che la Toscana sia grande terra di vino si sa, ma lo è anche di grandi e meno grandi gruppi musicali, quel che è certo è che questa Filastrocca della Bandabardò sa tanto di Toscana quanto di tintinnio di bicchieri.

Salute!


La guerra Boemo-Veneta

Tanto tempo fa i barbari imperversavano nella pianura padana, saccheggiando quel che restava del Romano Impero... Tanto tempo fa esisteva una città dalla storia millenaria, Altino, fondata dalle tribù paleovenete attorno al mille a.C. nella laguna veneta ed annessa successivamente, in maniera pacifica, al più grande impero della storia antica. Tanto tempo fa, ma un po' di meno, gli abitanti di Altino abbandonarono la loro antica città per sfuggire alle devastazioni dei barbari...
Come Enea, profugo di Troia, andò a fondare Roma, i profughi di Altino e delle cittadine circostanti fuggirono dalla costa per rifugiarsi sulle isole della laguna, dando vita ad una delle più fiorenti repubbliche del passato: Venezia.
Venezia divenne presto celebre per le sue industrie del vetro, ma i forni causavano spesso devastanti incendi nella città ancora prevalentemente di legno (il legno del Cadore, tanto caro a Tiziano che non è raro veder apparire nelle sue opere il celebre palo). La produzione del vetro fu dunque spostata in un isola vicina a Venezia, ma separata dal mare: Murano.
Coppe, piatti ma anche e sopratutto bicchieri fra le produzioni di Murano, inizialmente posseditrice del monopolio, o quasi dell'industria vetraria, finché un brutto giorno la Boemia scoprì che aggiungendo del carbonato di potassio alla miscela classica del vetro si otteneva un composto più chiaro e stabile. I cristalli di Boemia scalzarono dunque Murano, e i bicchieri di boemia che nella Fuga all'inglese di Paolo Conte osservano il tempo scorrere in città, "laddove tiene la sua accademia".
Murano uscirà da questa crisi grazie al rinnovo del "catalogo", iniziando, ovviamente dopo qualche secolo, la produzione di raffinati lampadari, un tempo per candele, ora per lampadine.


Bicchieri che isolano, bicchieri che uniscono

Ne è piena la storia e ne son piene le storie, i bicchieri fanno il doppio gioco: da una parte invitano alla convivialità, dall'altra sono mezzo per raggiungere la solitudine.
Per raccontare questo aspetto del bicer, ci serviremo delle immagini, per renderlo meno noioso!

Partiamo dall'Assenzio, aggregante, disgregante e degradante alcolico che spopolò fra la metà del XIX e l'inizio del XX secolo, quando, al terzo lustro, in Francia fu bandito per i problemi sociali che la sua dipendenza provocò.

La seconda metà dell'Ottocento è probabilmente uno dei periodi artistici più interessanti di sempre: nasce l'impressionismo, che riporta al presente una pittura che con il neoclassicismo s'era rinchiusa nei miti del passato, fiorisce, o meglio per rimanere attinenti al movimento,sfiorisce il decadentismo mentre paradossalmente l'Europa della restaurazione vive un lungo periodo di pace politica, ma non emotiva! Anche questa lunga ondata di pace è fra i fattori che permettono lo scoppiare dell'apparentemente pacifica rivoluzione industriale, che permetterà la produzione in serie. Inutile dire che il nostro amato bicchiere è uno dei soggetti principali dello studio della nuova industria e di ciò che ad essa voleva opporsi. L'Arts and Crafts Movement, in particolare, con il designer Tiffany, si specializzò nelle realizzazioni in vetro, ovviamente richiamanti al gotico, e fra gli oggetti in vetro non mancano i bicchieri come il Calice Tiffany perlato del 1899.
Ma il bicchiere fa da protagonista nell'arte e nella vita degli artisti, come testimonia il dipinto scelto come sfondo del blog: Assenzio di Degas, 1876. Il bicchiere, al centro rappresentativo e non geometrico dell'opera, è il simbolo dell'emarginazione e della solitudine che stride con l'immagine felice e spensierata della Belle Époque.


Incredibile notare come quest'immagine sia similare ad una foto ritratto del poeta maledetto Verlaine, in entrambe il bicchiere è il cuore della rappresentazione...


...e simile anche al ritratto che Verlaine fece ad un altro maletetto, Arthur Rembaud, che pur dinnanzi ad un bicchiere (più facile perdersi in un bicchiere di vino spagnolo Old Porter che in un bicchier d'acqua) non perde il suo volto da ragazzino...


Ma il bicchier, o meglio il lieto calice, è anche un mezzo di unione e convivialità, come nella Traviata di Verdi dove un grande brindisi, Libiam ne' lieti calici, fa da padrone nel primo atto dell'opera, con un inno a tempo di valzer al vino e all'amore. Il Calice, il cui nome si rifà al fiore, altro non è che un bicchiere da vino, e da brindisi, dall'aspetto floreale e forse non è un caso che il lieti calici la bellezza infiora...
Curioso notare, inoltre, che il suo gambo è detto stelo. In inglese il calice divien Goblet, facendo sua la parola francese gobel, nella forma diminutiva gobellet derivante dal verbo gober, deglutire, probabilme che il gobellet abbia varcato la Manica insieme ai suoi immancabili compagni d'avventura, i vini francesi.



Posto non ancora completato, lo pubblico solo perché conoscendomi so che altrimenti lo perderei, abbiate pazienza.

giovedì 11 ottobre 2012

Etimologia del Bicchiere

Bicchiere, inteso come espressione scritta e verbale nella lingua italiana, altro non è che una composizione fonetica indicante un recipiente, generalmente vitreo, votato (e svuotato) all'atto del bere.
Seppur l'Italia sia notoriamente la patria del latino, l'italiano è una delle due lingue neolatine che non hanno ereditato la denominazione del bicchiere dalla lingua madre.

Vitrum nella lingua latina, verre en français, vidrio en español, vidro en português, bicchiere in italiano, sticlă in român.

Se avventurarsi nell'etimologia rumena potrebbe essere complicato senza l'ausilio di appositi dizionari etimologici e senza padronanza nella lingua, andare a scovare le radici del bicchiere italiano è sicuramente più semplice. Che sia nel latino è inevitabile, ma, forse, subisce l'influenza dell'antica passione italiana per i vini, poiché il Bacar latino indicava non il bicchiere, ma un recipiente per vini, simile al Cratere greco, si sa, stessa faccia, stessa razza!
Il Bacar si è dunque diffuso nelle lingue barbare, con il becher tedesco, per esempio, che va però, i tedeschi sono più precisi, ad indicare il calice dei brindisi della Traviata, non il bicchiere vero e proprio, che invece va, come l'inglese, ad assumere lo stesso nome della materia che lo compone: glas, in tedesco, glass in inglese.


Salute! 


Caravaggio, Bacco, 1597